Di Martina Riccetti
Da orvietana sono particolarmente orgogliosa di presentare la “voce” di oggi. Lei è Martina Riccetti, designer italiana esportata in Cina.
Quando uno studio italo-cinese le ha fatto la grande proposta di lavorare nella propria sede di Yongkang non ci ha pensato due volte e ha accettato la sfida, la sfida di volare a chilometri di distanza dal proprio Paese per immergersi in un contesto totalmente nuovo e cogliere un’opportunità di crescita professionale e umana sicuramente da non perdere.
Una sfida di cui Martina ci parla nel suo coinvolgente articolo, di cui noi non possiamo che ringraziarla.
Buona lettura!
Lavorare per un’azienda cinese, che ha come obiettivo quello di fare design, è una sfida agli occhi di un po’ tutto il mondo. “Made in china” è una label che questo Paese si porta dietro da tanti anni e che porta con sé la nomea di oggetto a basso costo, di bassa qualità e copiato. Tuttavia voler fare design, “shè jí”, non significa avere la libertà (o la sfacciataggine) di creare prodotti mai esistiti prima, ma è soprattutto la capacità di saper analizzare, tradurre e restituire oggetti capaci di darci emozioni, di raccontarci una storia e, al tempo stesso, intrinsechi di tradizioni a noi familiari. La Cina traduce bene questa caratteristica, colma di ricchezze storiche e di un patrimonio artigianale amplissimo. È soprattutto in questi ultimi anni, data la sua rapida espansione tecnologica, che questo Paese avverte forte la necessità di creare un proprio linguaggio industriale, un ponte tra nuovo e antico.
Yongkang, la città in cui vivo, rispecchia molto queste caratteristiche. Un “paesino” che nel giro di soli cinque anni ha conosciuto uno sviluppo incredibile: aziende, case, uffici sono nate fino a farlo diventare un polo industriale importante. Qua la vita scorre lenta per i vecchi paesani con i loro orti, le piccole case, e le loro attività. Le montagne completamente verdi che la circondano e il fiume che scorre nel mezzo raccontano la storia di quello che era un villaggio ma che ora è una città. Camminando tra le sue strade ti capita di essere fermata da qualche ragazzo local che vuole sapere da dove provieni e perché mai sei finita in una città come questa. Nonostante la comunicazione sia difficilissima, è dagli occhi che capisci la profonda ammirazione che hanno per l’ occidente e la voglia di sapere e di conoscere di più del tuo mondo. La curiosità ci spinge a farci delle domande, ad osservare l ambiente in cui viviamo, a conoscere nuove persone. Essere curiosi è alla base del lavoro di un designer ed è importante raccogliere più risposte, racconti e incontri così la prossima volta, di fronte a quel foglio bianco, disegnerai per il made in china, ma con due mondi nella matita.
Tra tutti, i giovani sono coloro che più avvertono questa necessità. Nello studio in cui mi trovo italiani e cinesi collaborano insieme allo sviluppo dei brief, proponendo ognuno un proprio concept che viene condiviso fra tutti.
Ci si influenza a vicenda, creando un linguaggio misto, dove ognuno inserisce un po’ del proprio background. Sta all’ azienda finale scegliere a quali, tra quei linguaggi, si sente di appartenere.
A volte è divertente quando ci viene chiesto di creare oggetti dal gusto europeo, e questo viene analizzato sotto gli occhi di due paesi. L’occhio europeo punta infatti a oggetti puliti, semplici, dotati di una estetica funzionale, quello cinese, invece, guarda al decoro, allo sfarzo, inserendo quell’ orpello in più che ci fa storcere un po’ il naso. È in questo momento che le due culture si uniscono per creare un prodotto nuovo, dato dalla sintesi estetica di due mondi, ma che ha come obiettivo quello di stimolare la voglia di possederlo, di ammirarlo e, perché no, tramandarlo alle generazioni successive. Purtroppo la richiesta di nuovi prodotti è davvero rapida e a volte si perde la possibilità di curare l’oggetto, di dargli una storia, un motivo di vita, e si rischia di creare l’ennesimo prodotto che soddisfi le esigenze di mercato. La produzione qua sembra non fermarsi mai, le aziende assomigliano più a dei giganteschi laboratori artigianali che ha delle fabbriche automatizzate e la manualità dell’ operaio è ancora un elemento indispensabile alla realizzazione del pezzo.
Photo credits: Martina Riccetti
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